La
comunità delle beatitudini in Israele
Di don Giorgio Paximadi
Durante questi pochi anni che ci separano dal grande Giubileo del 2000, la Chiesa
ci invita insistentemente a riscopertine/coprire le radici della nostra fede; a ridivenire
consapevoli del fatto primario che il Cristianesimo non è prima di tutto
una dottrina od una predicazione morale, frutto della genialità di un
uomo, ma un'esperienza storica: una serie di avvenimenti che hanno costituito
l'intervento di Dio nella storia e che sono culminati nella vita, morte e risurrezione
di Gesù di Nazareth, Signore e Cristo. Dice l'autore della lettera agli
Ebrei: "Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte
ed in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni
ha parlato a noi per mezzo del Figlio" (Eb.1, 1 s.). Dio cioè è
intervenuto molte volte nella storia, preparando il suo intervento definitivo,
la sua Alleanza "nuova ed eterna", con una serie di Alleanze le quali
sono state di volta in volta ricapitolate nelle successive ed hanno tutte trovato
la loro definitività e la loro pienezza in Gesù Cristo. Nel piano
della salvezza di Dio ha rivestito una funzione speciale l'Alleanza che egli
ha voluto concludere con un popolo singolo: il popolo ebraico, il quale ha avuto
ed ha, nel disegno di Dio, la grazia di ricevere in maniera così particolare
la Parola di Dio, la sua legge e la sua stessa presenza in mezzo ad esso da
poter essere chiamato "primogenito di Dio". Tale alleanza, culminando
in Crísto ed in lui aprendosi a tutti i popoli della terra, non per questo
viene ad essere cancellata ma rimane valida per sempre, perché "i
doni e la Chiamata di Dio sono irrevocabili" (Rm 11,29). Questa verità,
sempre presente nel patrimonio della fede ma forse non sempre predicata con
lo stesso zelo, ci è stata richiamata più volte dal Santo Padre,
ed in maniera particolare quando, visitando la sinagoga di Roma, ebbe a definire
il popolo ebraico "nostri fratelli maggiori".
Il mistero dell'accecamento di Israele riguardo al suo Messia è veramente
al cuore della nostra fede, e ciò è ancor di più manifesto
quando richiamiamo alla mente certi passi del Vangelo in cui Gesù dice
esplicitamente che " la salvezza viene dai Giudei" (Gv 4,22), inoltre
questo mistero è strettamente collegato con l'attesa della definitività.
Dice infatti ancora la lettera ai Romani: "l'indurimento di una parte di
Israele è in atto fino a che saranno entrate tutte le genti. Allora tutto
Israele sarà salvato" (Rm 11,25s.) Pur senza cadere in un millenarismo
fuori luogo e fuorviante per noi, cui è stato detto: "non sapete
né il giorno né l'ora" (Mr 25,13), è però possibile
dire che l'avvento del terzo millennio dell'era cristiana si carica di un significato
simbolico, pur restando oggettivamente una data né più né
meno importante di tante altre, e ci porta a riflettere con più intensità
al Mistero cui tende la storia e che un giorno si rivelerà nella sua
pienezza.
Quando, alcune settimane fa, ho avuto l'immenso piacere di rendere agli amici
di Caritas il servizio della guida durante il loro pellegrinaggio in Terrasanta,
la mia preoccupazione principale è stata naturalmente quella di far fare
ai pellegrini un'esperienza vera della presenza di Cristo, scopertine/copo di ogni pellegrinaggio,
ma insieme sono stato anche teso a far cogliere, così come me lo suggerisce
la mia sensibilità di persona particolarmente impegnata negli studi sull'Antico
Testamento, il legame tra la nostra fede e la storia e l'esistenza di Israele;
sia dell'Israele antica sia dell'Israele moderno, non tanto inteso come entità
politica e statale quando come esperienza religiosa portatrice ancor oggi di
quell'Alleanza "irrevocabile". La cordialità con cui questa
mia preoccupazione è stata accolta ha fatto sorgere in me il desiderio
di presentare agli amici lettori di "Caritas insieme" un'esperienza
cui sono legato da profonda amicizia e che è stata per me uno dei mezzi
principali che mi hanno permesso di scopertine/coprire il mistero di Israele, l'entusiasmo
per il quale, che è poi l'entusiasmo per le radici della nostra fede,
cerco sempre di trasmettere a coloro che accompagno in Terrasanta.
Chi mi conosce, anche superficialmente, ha già capito dove finirà
il mio discorso, ed in effetti è proprio una presentazione dell'esperienza
della "Comunità delle Beatitudini" qui in Israele che voglio
offrirvi, e ve ne spiego il perché.
Certo l'attenzione, teologica e spirituale, al mistero d'Israele è un
problema affascinante, ma anche assai rischioso. Si corre infatti sempre il
pericolo di accentuare eccessivamente la continuità fra il Cristianesimo
e l'Ebraismo e di finire così per sottovalutare l'unicità assoluta
della persona di Gesù Cristo, irriducibile a qualsiasi altro evento storico,
anche se preparato da tutti gli eventi storici, in quanto "Signore del
cosmo e della storia". Da questo può salvare solo un attaccamento
ed una fedeltà cordiale e senza ambiguità alla Chiesa. Quando,
alcuni anni orsono e proprio qui in Terrasanta, incontrai per la prima volta
alcuni membri di questa Comunità fu proprio questo che mi colpì
più di ogni altra cosa. Ricordo che chiesi ad uno di loro, che si preparava
a diventare prete: "ma per te che cosa è importante nella tua preparazione
al sacerdozio?" Senza un attimo di esitazione mi rispose: "per me
sono importanti tre cose: la centralità dell'Eucarestia, la devozione
alla Vergine Maria a la fedeltà al Papa". Stupito di tanta chiarezza,
bisogna purtroppo dire non comune anche in molti ambienti ecclesiastici, esclamai
tra me e me : "Caspita! Questo è un cattolico!". Quando poi
li conobbi meglio ed incominciai a partecipare ad alcuni momenti di preghiera
durante i quali gli elementi più importanti della tradizione di Israele,
come ad esempio il valore del Sabato, venivano vissuti con una consapevolezza
chiaramente cristiana, mi resi subito conto di non avere a che fare con un sincretismo
sentimentalistico, ma con gente che, sinceramente ed appassionatamente innamorata
di Cristo e della sua Chiesa, aveva ricevuto la vocazione particolare di vivere
il rapporto con il mistero di Israele in modo profetico, perché tutta
la Chiesa possa riscopertine/coprire la ricchezza delle sue radici, come il Santo Padre
ci spinge a fare.
Per presentare, almeno sommariamente, l'esperienza di questi amici occorre aggiungere
che, secondo l'intuizione del fondatore, fr. Ephraim, un pastore protestante
convertitosi al cattolicesimo e in seguito ordinato diacono permanente, la Comunità
è composta da tutti gli stati di vita: sacerdoti, famiglie, celibatari
dell'uno e dell'altro sesso, i quali promettono di condurre una vita comunitaria
all'insegna della preghiera, della povertà e dell'abbandono alla Provvidenza.
Il fondatore sottolinea come la Comunità abbia una vocazione contemplativa
ed escatologica, ossia attenta al mistero dell'intercessione che domanda senza
tregua l'avvento definitivo del Regno, e, che per la vita materiale, dipenda
completamente da quello che la Provvidenza dispone. La Comunità, nata
in Francia, è presente in molti paesi non solo europei, ed ha dato vita
a numerose ed importanti opere di evangelizzazione ed anche di assistenza e
di carità. In Israele è presente con due case, una a Gerusalemme
ed una ad Emmaus Nicopertine/copolis, le quali hanno la vocazione particolare di vivere
in modo paradigmatico quella contemplazione del mistero di Israele caratteristica
della spiritualità generale della Comunità e del suo fondatore.
È proprio per questo che, nelle due case presenti in Terrasanta, la comunione
di preghiera con il popolo ebraico è vissuto con amore e le feste ebraiche
sono "osservate", cioè contemplate nella loro funzione all'interno
del piano di Dio nella storia, piano che ha in Gesù Cristo il suo vertice
ed il suo senso. Vi sono anche alcuni fratelli che più particolarmente
si dedicano a studi sulla tradizione ebraica e che mettono la loro competenza
a disposizione di quanti, comunitari e non, vogliano riscopertine/coprire l'importanza
per noi cristiani della tradizione dei nostri "fratelli maggiori".
Ma è soprattutto la vocazione di preghiera con il popolo ebraico e per
il popolo ebraico che caratterizza quest'esperienza, che viene così ad
essere una delle realizzazioni più intelligenti delle indicazioni della
Chiesa sul cammino verso il terzo millennio.
Certo, per chi abbia ricevuto la vocazione di vivere abbandonato alla Provvidenza,
la vita in un paese dove la Chiesa è piccola, e, se pur ricchissima di
storia, assai povera di mezzi materiali, non é per nulla facile. Spesso,
alle nostre latitudini, la Provvidenza assume il volto concreto di benefattori
che intervengono al momento opportuno, ma qui, in un paese dove alle difficoltà
materiali si aggiunge una situazione politica e sociale non sempre facile, capita
spesso che questo fratelli debbano rinunciare non solo a ciò che noi
considereremmo superfluo, ma anche a ciò che riterremmo assolutamente
necessario ... come la stessa energia elettrica. Risulta per me sempre commovente
osservare l'ilare semplicità con cui questo avviene; semplicità
che avrebbe certo qualcosa da dire a noi, abitanti di un Paese che ha il reddito
pro capite tra i più alti del mondo.
Per concludere queste brevi note non posso che invitare tutti coloro che non
lo avessero già fatto a venire in Terrasanta per riscopertine/coprire le radici
storiche della nostra fede. Quella della Terrasanta è una grazia particolare,
come anche gli amici di Caritas ci possono testimoniare, che in ogni caso ha
un solo scopertine/copo: farci sperimentare nuovamente che Gesù Cristo è
vivo e presente in mezzo a noi.